Augusta, la Terra dei Fuochi silenziosa

Don Palmiro Prisutto

La Sicilia è un’isola sfolgorante, se ne percepisce l’intensità non appena si sbarca a Messina. E’ stato tranquillo il viaggio in auto con la troupe cinematografica che realizza il docu-film “Resistenti”: un vario sonnecchiare e un robusto chiacchierare fino ad Augusta, in provincia di Siracusa, dove ci aspettano Padre Palmiro Prisutto e i suoi. Loro difendono la loro terra tra Augusta, Priolo Gargallo e Melilli, nota alle cronache come il Triangolo della Morte. Un nome che dice tutto.

Augusta, Polo Petrolchimico

Augusta, Polo Petrolchimico

E’ di un polo petrolchimico che raccontiamo stavolta, un mostro al quale sono stati sacrificati 30km di costa fascinosissima, di storia e di cultura. Al vederlo, ci si spiega perché chiamino “cattedrali nel deserto” questi insediamenti industriali: intorno alle centinaia di ciminiere, alla faccia ferrosa di un gigante che solo apparentemente dorme e alle mille luci che di notte lo rendono una stazione lunare, c’è solo un gran senso di solitudine e di degrado. Le rovine dell’antica Megara Hyblea, fondata nel 750 a.C. dai Greci in cerca di una nuova vita, sono lì, a pochi passi da un disastro ambientale come pochi e così abbandonate a se stesse da preconizzare il futuro di una piana già dimenticata. Un mare bellissimo e pescoso ospita piattaforme petrolifere dai nomi evocativi e lunghi tentacoli di raffinerie: circa 15 anni fa, livelli di mercurio 20.000 volte superiori alla norma lo colorarono di rosso, come in Sardegna, a Porto Scuso. Tra cardi e acacie selvatiche che solo timidamente nascondono le industrie, pascolano indolenti alcune mucche e si coltiva biologicamente. A pochi chilometri case, gente, vite comuni.
Il petrolchimico è una Cattedrale contro una piccola Chiesa. Don Palmiro, un uomo profondamente buono e schivo, ha già pagato sulla propria pelle il costo di una vita all’ombra di quel mostro e non può lasciare che i suoi concittadini continuino a essere carne da macello. Lui parla. Parla ai parrocchiani, ai suoi studenti, ai suoi confratelli e anche per lui, purtroppo, si ripete il clichè della derisione, quando non delle minacce. Perfino la sua Famiglia, quella in Cristo, gli si schiera contro e ne tenta la rimozione: il Vescovo, al contrario del Parroco, ama il silenzio. Ma Don Palmiro resiste: contro i numeri agghiaccianti che vogliono morto un augustano su due nei prossimi anni, contro i voltafaccia dei compaesani che guardano al petrolchimico come ad un faro nella notte dell’endemica disoccupazione siciliana e perfino contro la Chiesa locale, lui va avanti. E con lui un pugno di donne e uomini che non possono rimanere fermi ad aspettare.

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Sulle magliette che ha fatto stampare il migliore di loro, Carmelo Miano, si legge: “Se dovessi morire di cancro, sarebbe un omicidio”. Già nel 2001 uno studio del OMS prova che nell’area di Augusta – Priolo si registrano eccessi di mortalità significativi – per patologie polmonari negli uomini – nelle zone più vicine al petrolchimico. Ma è solo il principio: è un’escalation di notizie terrificanti fino alle ultime dichiarazioni del Dott. Madeddu, direttore del Registro Tumori di Siracusa-Messina-Catania, che nel 2015 definisce “incontrollabile” il tasso di mortalità per tutti le neoplasie nei prossimi 40 anni.
Di cancro, purtroppo, muore anche Carmelo. Indossano le sue magliette durante le manifestazioni pubbliche che mai radunano grandi folle e in quelle occasioni in cui, per fortuna, possono gioire del corso della giustizia. Sotto la discarica CISMA, a Melilli, pochi giorni prima del nostro arrivo, un sit-in degli attivisti sugella l’arresto di 14 presunti assassini responsabili dello smaltimento illegale di rifiuti tossici: “ricette” le chiamavano, le misture abominevoli in cui mescolavano a calce e ad altri inerti i rifiuti che avrebbero dovuto essere codificati in ben altro modo. Così allegramente confezionati, venivano bruciati nel vicino inceneritore della Gespi.
Sono queste le pennellate principali del mio dipinto siciliano. L’ultima è quella nota ai più, quella buia e fosca dell’elenco dei “caduti” per inquinamento che il Don fa ogni 28 del mese, alla fine della messa. Più di 900 nomi e professioni: impiegati, casalinghe, studenti, bambini, operai, professionisti. Il cancro non guarda in faccia a nessuno, non importa che si lavori nel petrolchimico o meno. Basta viverci accanto. E a chi continua a dire che il nesso di causalità tra ambiente e salute è labile, tocca venire in questi luoghi di morte per rendersi conto che tutte le cause che determinino, anche in maniera opaca, terribili malattie, malformazioni e alterazioni genetiche come ad Augusta, vanno rimosse senza perdere un solo attimo di tempo.
Oltre lo scempio e il disastro, rimangono gli attivisti, i cittadini che non si stancano di lottare e rifuggono il silenzio come l’immobilismo. Di elenco voglio farne uno anch’io, per ricordare che c’è chi non si arrende e per dare dignità a chi spesso viene abbandonato, deriso, minacciato:

Don Palmiro Prisutto

Alessandro Riera
Cinzia Di Modica e suo figlio Alessio
Lina Iannello e la piccola Chiaretta
Cosimo e Lucia Rapisarda
Giusi Palmi
Maurizio Di Grande
Angela Passarello
Giusi Nanè

Tutti loro soffrono, hanno sofferto. Nessuno di loro molla. Tra cardi ed acacie selvatiche, non ci sono solo le ciminiere, ma santuari in cui la gente si raccoglie con speranza come l’ “Adonai”, “Mio Signore”: davanti ad un mare che rimanda a genti antiche, io che non ho fede non posso che guardare al Cielo e cogliere in Don Palmiro e nei suoi un frammento di specchio. Quello che riflette con coraggio un Amore che dissolve la storia e ne cancella la disumanità.
Miriam Corongiu

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