Coronavirus: non abbandonate i contadini!
Non vediamo che il nostro pezzo di terra da venti giorni, ormai.
Le persone che arrivavano in quest’orto dai comuni limitrofi non hanno più il permesso di varcare i confini amministrativi delle loro città e qui giungono, ormai, solo pochi compaesani o qualche temerario che aggira la polizia percorrendo le strade nascoste di una periferia già poco frequentata. La solitudine che da sempre ammantava serena il lavoro nei campi, ora sembra una cappa nebbiosa perfino nelle ore più terse del mattino e il silenzio a cui abbiamo docilmente adattato le nostre vite appare come il vuoto praticato in una grande latta color argento.
Non sappiamo quanto potrà reggere una piccola azienda agricola come questa alle bordate del coronavirus. Noi contadini che abbiamo sempre rivendicato il ruolo di sentinelle, di custodi della biodiversità e il nostro diritto a coltivare oltre i limiti dell’agrochimica, saremo ancora più oppressi dal mercato globale che si nutre di guerre, di emergenze e di squilibri per imporre le proprie leggi e la propria corte marziale. La prossimità su cui abbiamo scommesso tutto per riportare ognuno di voi alla campagna e ai vostri ricordi, attraverso la quale vi parlavamo contenti di comunità e di vita vera, di luce e di convivialità, è stata cancellata da una manciata di decreti inchiodati al muro della quarantena ad infinitum, mentre lo stato italiano assicura aiuti consistenti, di 8 volte superiori, solo ai colossi agroindustriali. Ai nostri diretti carnefici.
Eppure siamo noi, quelli e quelle dei fazzoletti di terra, a garantire la sopravvivenza del nostro mondo, fornendo cibo sicuro al 70% dell’umanità e proteggendo il diritto dei popoli alla sovranità alimentare. Noi siamo la storia, la cultura e il futuro di ogni territorio, il contrasto vero e imprescindibile ai cambiamenti climatici e una cornucopia sempre straripante di possibilità lavorative soprattutto nelle aree interne del paese da troppo tempo abbandonate.
Soprattutto, però, siamo una promessa di felicità nella ricomposizione. La nostra è un’arca perduta e ritrovata nel guazzabuglio della modernità dove i pruni in fiore sono la siepe che ci proietta nella società che vorremmo. Diamo accoglienza a chi fugge dalle guerre, agli uomini e le donne che vorremmo crocifissi nei centri di espulsione perché “prima gli italiani” e che ora, in virtù della fratellanza sbandierata al tempo della pandemia, andrebbero finalmente considerati solo essere umani. Terrorizzati come noi. Le esigenze della campagna, affamata di braccia, offrono ancora una volta al mondo intero, l’opportunità di sopravvivere alla propria brutalità.
E dove potreste trovare, se non dai contadini come noi, la ribellione ad ogni stereotipata confezione, il sapore della frutta di stagione e le conserve di un tempo pronte per i tempi duri?
Dove, se non qui, potete ancora percepire la forza della natura che si rigenera a dispetto di ogni contagio? Questi non sono articoli da megastore, né da centri commerciali. Non sono cianfrusaglie a buon mercato, ma i risultati di un lavoro durissimo e generoso del quale vorremmo parlarvi ancora a lungo.
Non ci abbandonate. Venite da noi!
Abbiamo messo da parte i nostri libri per regalarvi una storia in più da vivere e vi offriremo le nostre margherite selvatiche per ricordarvi che c’è sempre un’altra primavera. Non troverete mai né storie, né margherite nei grandi supermercati, né ricordi, né sogni. Anche nella paura e nel disagio potete continuare a costruire il mondo che vorreste, percorrendo quei pochi metri che vi separano da noi per comprare la natura che si fa agricoltura.
Siamo ancora, sempre stati, la vostra nostalgia più grande.
Siamo ancora, sempre saremo, la vostra speranza più ardente.
Non cancellate i nostri giorni. Non dimenticate.
Non c’è bisogno che finisca tutto per tornare a vivere, quando ogni giorno c’è la possibilità di ricominciare.
Miriam Corongiu