LA MATERNITA’ NON VA MAI IN VACANZA

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“La maternità non va mai in vacanza”. Fu questa frase lapidaria di mio padre a suggellare l’idea, che iniziavo a temere, che io ormai esistevo innanzitutto in funzione di quel piccolo fagottino che da sette mesi era entrato nella mia vita. Era bellissimo, col viso tondo e luminoso come un piccolo sole, io lo adoravo, ma allo stesso tempo non ne potevo più: mangiava poco e spesso e non dormiva mai, praticamente mai. Ogni ora piangeva e, come unica detentrice del suo sostentamento, era scontato che potessi occuparmene solo io.

Lui nato a gennaio, io tornata a lavoro ad aprile con un incastro di orari ed impegni al millisecondo, finalmente salutavo come un’oasi da miraggio l’arrivo delle ferie ad agosto e vagliavo coi miei genitori opzioni di svezzamento che mi liberassero da questo incastro continuativo che mi faceva sentire imprigionata. “La maternità non va mai in vacanza” fu la frase finale del ragionamento per chiarirmi in definitiva che non avevo più diritto ad ascoltare i miei bisogni, se non nella misura in cui, eventualmente, la cura di mio figlio ne avesse lasciato tempo e possibilità. Mio figlio, perché ovviamente i figli sono delle mamme, era una scelta che nessuno mi aveva imposto e che perciò ancor più implicava una condotta coerente a tempo indefinito, senza contemplare alcun limite di tempo ed energia. Del resto mio marito collaborava, cioè accettava abbastanza di buon grado che si fosse ridotto il tempo dedicato a lui, al cucinare manicaretti, a lucidare la casa, a farmi bella: cosa potevo chiedere di più, considerato che la maternità non va mai in vacanza?

Mi avevano tenuta sui libri a studiare fino alla laurea a 22 anni perché era importante per costruirmi la vita che volevo, per ritrovarmi poi a 24 anni con un’altra vita generata da me che era diventata l’unica per la quale potersi lecitamente chiedere cosa voleva. L’avrei cresciuta per 22 anni, affinché completasse ciò che serviva per avere la vita che voleva e poi magari dopo un paio d’anni tutto sarebbe stato messo da parte, per dare spazio esclusivo alla generazione successiva? Un rapido calcolo mi mostrava che l’equazione era carente in convenienza e ragionevolezza.

Esiste chi nasce. E continua ad esistere anche chi l’ha fatto nascere.  L’obiettivo non può essere annullare una delle due esistenze, ma è trovare un equilibrio che consenta ad entrambe le vite di essere ciò che vogliono diventare. Per fortuna le donne della famiglia, innanzitutto mia suocera, hanno compreso il punto di vista da donna e genitrice e quando l’anno dopo, fra le critiche mosse al delegare, si è ripresentata la fatidica frase “la maternità non va mai in vacanza ” non sono rimasta ad incassare in silenzio quella che volevano propormi come una verità assoluta. Mi sono presa e ripresa il mio spazio d’espressione, in cui prioritario era avere non l’approvazione, ma il rispetto per le mie idee. E da allora quella frase nessuno me l’ha più ripetuta. Soprattutto io non l’ho mai più ripetuta a me stessa. E’quello che sul serio ha contato per far crescere mio figlio. E me stessa insieme a lui.

Antonella Cafora

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