QUI PIANETA “TERRA”!

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Quando, ormai passati i quaranta, ho scelto di diventare una contadina, ho capito subito che coltivare significava soprattutto prendersi cura: della terra, della salute delle persone che avrebbero mangiato il mio cibo, della comunità come insieme di relazioni positive. Mi sono resa conto molto presto, inoltre, che il lavoro che svolgo in regime di agroecologia è importantissimo e necessario soprattutto perché vivo, ogni giorno, l’ingiustizia ambientale. L’agroecologia infatti, come processo di integrazione tra natura e umanità, non solo rigenera terra, acqua e aria, ma attiva le comunità che intorno alla terra si riuniscono. Nonostante il mio lavoro sia fondamentale per il mio territorio e, più in generale, per il mondo flagellato dai cambiamenti climatici, nessuno però conosce l’enorme mole di tempo, fatica e dedizione che richiede seguire non solo la produzione agricola, ma l’elaborazione politica che c’è nella ricerca e nella pratica del mio posizionamento, l’organizzazione dei progetti di reti contadine informali, l’attivismo sui territori. Tutto è da coniugare con la gestione pratica della mia piccola azienda e con le esigenze della famiglia: come tantissime donne rurali sono una pianta produttiva e silenziosa alla quale, in un paesaggio che io stessa ho contribuito a far rifiorire, non si fa più caso.

Dove sono le politiche che dovrebbero sostenermi quando, malata o troppo stanca, non posso lavorare? Se devo occuparmi di mia figlia o della mia anziana madre, se sono senza aiuti esterni, il mio lavoro e il mio attivismo rallentano o si fermano. E dov’è il tempo per la cura di me stessa? Proprio io che, attraverso il cibo buono, metto in relazione le persone con tutto ciò che è vivo, stento a riconoscermi come essere vivente e desiderante. Per la legge italiana le contadine sono imprenditrici, non persone, non donne, né care givers: siamo tuttalpiù destinatarie di finanziamenti, non soggetti di diritti.

Ciò di cui ho bisogno è dunque che il mio lavoro venga riconosciuto come specchio di ciò che sono e di tutto ciò che faccio: non c’è soluzione di continuità tra cura di me, cura della terra, cura degli affetti e cura del territorio. Ognuna di queste declinazioni della cura è parte di un unico approccio salvifico, l’agroecologia, del cui messaggio, pur facendosi un gran parlare in sede europea, non si è ancora compresa la radicalità e l’imprescindibilità al tempo dei cambiamenti climatici.

Non sarò Berta Caceres, né Wangari Maathai, ma come tutte ho diritto a vivere la mia vita rispettando ciò che sono e il mio lavoro, come quello di tutte le donne rurali, ha il diritto di essere preservato dagli attacchi del potere.

Miriam Corongiu per il Global Women’s Strike: “What mothers and other caregivers want?”

Campagna a favore del reddito di cura, 2022

In copertina: FAO, Giornata Internazionale della Donna 2015

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