Sono nata negli anni ’80
Sono nata negli anni ’80 in una famiglia di italiani del Sud dei quali ho raccolto le radici, le emozioni e i saperi.
Donne e uomini emigranti all’estero rientrati nella Terra Madre, espressione usata per estensione a tutto il territorio della nazione e non solo alla propria porzione di comune di origine.
Operai pensionati per i quali, che la generazione seguente scegliesse di collocarsi nella societá attraverso i ruoli di madri casalinghe e lavoratori statali, poteva essere una sicurezza auspicabile.
Ho profondamente a cuore l’ ereditá di questa storia e dei sentimenti ricevuti in ciò che, anno dopo anno, ho appreso prima e conservato, rigenerato o smantellato poi.
Ho osservato per tutta l’ infanzia donne che si occupavano della cura domestica, delle relazioni sociali e familiar , del verde di casa e dell’ orto.
Impariamo riproponendo i gesti degli adulti, cosi, quella natura desiderosa di essere parte delle attivitá dei grandi, mi spingeva a emulare i gesti rituali delle persone che mi erano intorno per la maggior parte del tempo: donne dedite alle mansioni della cura con l’ abitudine della lettura.
Con la crescita, questo stato di cose, si è trasformato in pretese e aspettative gravose: potenziali ore di gioco, socialitá e talenti da coltivare trasformatesi in doveri da apprendere e rispettare per condividere la stessa sorte di genere.
Altre ore ed anni sono trascorsi in cui convivere e tentare di ribellarsi sentendosi fuori posto e con una doppia cocente ingiustizia: la prima è stata che queste richieste venivano obbligate a me soltanto in quanto ultima ed unica figlia femmina, entrambe condizioni mai scelte; la seconda, che i miei bisogni, tempo ed emozioni non occupavano alcuno spazio di valore in questo panorama culturale fatto di cose da maschi e cose da femmine.
Una divisione estesa da un nucleo familiare alla societá.
Era ed è un mondo dove le donne fanno, anche controvoglia e sacrificio, rinunciando a se stesse, incontrando spesso stati di insoddisfazione, frustrazione e depressione, e dove gli uomini aiutano quando i propri impegni umori e recinti sociali ne svegliano lo slancio di compassione e pudore.
Racconto perchè so per certo che questo è stato ed è un vissuto comune di molte donne appartenenti a generazioni precedenti e successive alla mia e, a tuttora, è la norma per molte altre.
Per tutta l’ infanzia e l’ adolescenza ho sentito la condizione di donna una condanna perchè , tra le varie motivazioni e per alcune mansioni, atta a caricare di pesi mentali emotivi e fisici un solo genere per di piú incapace di trovare un proprio spazio di riscontro agli occhi della societá se non in qualitá di madre modello, lavoratrice stipendiata o meno.
Dopo sono giunte la ribellione ed i suoi tentativi molteplici, il coraggio di iniziare a fermare la giostra e rifiutare, quello di affermare opinioni: un uomo ed una donna sono ugualmente in grado di compiere doveri, piaceri e mansioni con la regolaritá e quotidianitá che l’ essere un adulto funzionale richiede. Non mi adeguo piú senza repulsione al modello che crea cose da donna e cose da uomini nelle quali la natura biologica non ha nessun punto fermo.
Vivere tanto a stretto contatto l’ esperienza delle donne e delle pratiche della cura mi ha lasciato un bagaglio culturale ampio di conoscenze pratiche, a volte legate alle leggi dell’amore altre solo al dovere, e mi ha condotta ad osservare con occhi diversi i miei bisogni imparando ,non senza fatica e pegno, a dare loro valore. Osservo con occhi diversi i compagni con i quali condividere una coppia perchè, anche se la societá cambia dietro nozioni e titoli culturali e professionali, statistiche e modelli economici da inseguire, la quotidianitá tende ad essere l’ unica cartina di tornasole di ogni discorso.
Ho appreso leggendo, dallo stesso spiraglio apertomi da quelle donne che mi hanno mostrato i limiti del lavoro di cura, che le cose possono cambiare.
Ho portato queste competenze nella vita di donna adulta, nelle esperienze sociali e relazionali, nel mio lavoro, nell’ assistenza offerta in situazioni di necessitá, nelle attivitá per l’orto familiare al quale resto legata. Ho memorizzato il valore intrinseco ed estrinseco del lavoro di cura e la necessitá della sua presenza nelle vite e relazioni umane a cui dona qualitá e spessore.
Fatica, rinunce, limiti che un costume reiterato richiede alle donne, non possono continuare ad essere normalizzati . Necessitiamo che sia condivisa fra i generi la sua pratica, che non venga considerato progresso e soluzione il ribaltare il carico ad altri individui lavoratrici e lavoratori subalterni .
Ovviamente quotidiano è incontrare resistenze alle mie posizioni se non accetto di compiere mansioni per un adulto perfettamente in grado di adempierle da sé o che vadano oltre il mio personale confine del giusto linguaggio dell’ affetto e della cura.
I limiti, che incontro spesso e con i quali mi scontro, risultano per me confini da smantellare o iniziare a spostare piú in lá, prendendo quotidianamente consapevolezza del grande valore che hanno gli insegnamenti e l’ esperienza appresi e che continuerò ad assimilare dalle donne.
Un percorso che continua sui passi del presente verso un futuro diverso per chi verrá dopo di me.
Annamaria Ottaiano